Debora Di Jorio

“C’è qualcosa nella mente umana che fa sì che le cose così come sono non ci piacciono, qualcosa che si costruirà il suo piccolo mondo”.

L’affermazione di Frank Barron fa eco a quella di molti interpreti del pensiero creativo, alcuni dei quali ne collocano l’origine in una peculiare capacità dell’intelletto umano e in particolare in quei soggetti meno tesi al rigido controllo dei propri impulsi, di riorganizzare l’esperienza percettiva così da averne un’immagine nuova e assolutamente personalizzata. Ristrutturare secondo Paul Watzlawick significa saper dare vita a una visione del tutto originale del proprio mondo concettuale ed emozionale; ciò sicuramente non consente di modificare la realtà degli eventi che ci coinvolgono, ma dare loro un diverso significato aiuta l’individuo ad affrontarli nella maniera più consona alle esigenze della sua personalità e alla situazione in cui si trova. L’incapacità di accettare che la psiche umana fosse per sua natura condizionata da incomprensibili dinamiche irrazionali indusse anticamente l’immaginario collettivo della civiltà greca a collocare tali aspetti in un “temporaneo sospendersi” delle facoltà raziocinanti. Platone disconosceva qualsiasi fondamento di tipo conoscitivo all’intuizione perché derivante da quella parte di anima che non è l’intelletto, il quale è l’unico a poter dare spiegazione razionale alle proprie argomentazioni, generando così la conoscenza che egli considera “opinione vera” solo perché accompagnata da altra conoscenza. Nel Teeteto, tale convinzione gli risparmiava l’imbarazzo di guardare “oltre”, per poi riconoscere alla facoltà intuitiva, dall’ “aberrante” natura irrazionale il primo passo verso l’universo conoscitivo. Si pone la questione tuttavia di poter obiettare che la conoscenza acquisita a sua volta dovrà pur essere il prodotto di un’intuizione primordiale e non solo il soggetto di un discorso puramente tautologico cui Platone la riduce. A questo punto occorre fare una riflessione: se l’intuizione non producendo conoscenza è da Platone valutata come la capacità della mente di vedere o contemplare le idee in essa configuratesi, la stessa riproduzione nella mente del modello ideale ultraterreno implica l’intervento non solo della facoltà ragionativa, ma inevitabilmente del carattere emozionale ad essa legato. Sul piano sensibile è ciò che avviene nell’arte che Platone definisce “imitazione pura e razionale di quel modello che è al di sopra del cielo”, ma anche il riflesso dell’anima umana, nella sua capacità immaginativa e soprattutto interpretativa del modello stesso. E’ la conclusione cui è d’obbligo giungere: la proiezione mentale o ricostruzione materiale di qualsivoglia elemento che riproduca il mondo delle idee non può considerarsi mera e semplice imitazione per quanto imperfetta di un modello ineguagliabile, ma pur sempre, come è del resto qualsiasi processo imitativo, l’espressione di un’esperienza che contiene motivazioni ed emozioni profondamente individuali. Restando in tema è quanto mai indicativo volgere l’attenzione sull’idea di un inconscio gnoseologico di Hermann Broch. Nella scienza e nella fattispecie nella matematica, l’intuizione d’infinità connaturata nella mente umana, rappresenta l’indispensabile punto di partenza; “la precognizione dell’infinito-scrive Broch spinge la matematica verso una costruzione sempre più complessa di enti”, tale precognizione sarebbe dallo scrittore viennese collocata appunto in un inconscio gnoseologico dal quale avrebbero origine tutte le esplicazioni della sfera razionale. Da esso scaturirebbe anche un intuito teso a conferire verità ed esattezza a un movimento ascensionale di concetti privo di chiusura. L’attività dello spirito e tutte le possibili combinazioni delle intuizioni fra loro, da cui avrebbero principio tutte le azioni, sarebbero incentrate proprio su questo movimento.” grazie a questo sapere – scrive Broch- l’uomo è in grado di raccapezzarsi intuitivamente nella vita quotidiana, scegliendo istintivamente l’azione giusta fra tutte quelle possibili” riuscendo anche il più delle volte a rimanere sul piano razionale. La genialità dell’individuo risiederebbe poi nella capacità di creare una rete ideale quanto più è possibile fitta ed esauriente di combinazioni ed eventi.

Lo studio di Max Wertheimer è volto per esempio a mettere in evidenza quali fattori determinano una particolare successione logica di elementi recanti alla più insolita soluzione di un problema; le variabili di natura emotiva ,come stanchezza,tensione distrazione che subentrano e agiscono all’interno di un ragionamento; il ruolo in breve che gioca l’introspezione nel modo di percepire la realtà esterna .Nella descrizione dei propri pensieri ognuno darà vita a una specifica struttura del ragionamento strettamente relativa al modo in cui ha organizzato le proprie esperienze o meglio la percezione soggettiva di queste . Nella famosa storia del piccolo Gauss cui è dedicato un capitolo de “Il pensiero produttivo” Wetheimer rileva le radici assolutamente intuitive della riorganizzazione strutturale di un problema di aritmetica sottoposto ad alcuni bambini che esula dai canoni interpretativi più ovvi e conduce brillantemente e in più breve tempo alla soluzione cui normalmente si sarebbe giunti seguendo un procedimento più scontato e noioso. Comprensibilmente le reazioni dei soggetti cui venivano presentati i problemi da affrontare con ragionamenti di tipo divergente erano spesso insensate, tant’è che stupore e disorientamento assalivano individui anche molto intelligenti, ma inclini a ragionare in modo meccanico.

Wertheimer percorre così l’iter dell’inferenza che porta a un certo tipo di ragionamento partendo dal presupposto che l’intuizione può vivere nella mente in modo piuttosto nebuloso e senza una fisionomia concreta che si possa facilmente tradurre in linguaggio. Questo genere di situazione è paragonabile a quella del musicista che ha in mente una melodia, ma incontra difficoltà e impiega tempo prima di individuare le note giuste che le diano vita. Dev’essere quindi operata una scrupolosa analisi degli elementi che compongono la formula per poi fissarli in maniera da dare forma all’intero procedimento conferendo la necessaria chiarezza a un’idea inizialmente confusa nella sintesi logica dei suoi elementi. In altre ricerche sperimentali in cui venivano mostrate delle figure geometriche si riscontrava in ogni osservatore la naturale disposizione a riconoscere raggruppamenti ragionevoli il cosiddetto fattore della “buona forma” costituente il momento illuminante dell’osservazione. Siffatta tendenza alla simmetria e alla percezione ragionevole era in fondo in stretta relazione con quella che nei problemi di aritmetica conduceva al rispetto di qualche proprietà matematica.

La capacità di percepire le qualità d’insieme è presente negli stessi bambini orientati istintivamente a ricomporre le parti di un corpo geometrico nel modo più coerente e sensato, Un’ulteriore studio inerente alla strutturazione del pensiero produttivo è rivolto da Wertheimer alla Teoria della relatività di Einstein, in particolare ad alcuni passaggi decisivi del processo mentale che ne produsse i risultati.

In primo luogo il fisico pose la questione del valore della velocità della luce in relazione a qualcosa che sia in movimento; si chiese se la luce diversamente dai processi meccanici potesse determinare uno stato di quiete assoluta ,esaminò quindi alcuni esperimenti ;quello di Maxwell dal quale dedusse che la velocità della luce è costante,di Michelson nel quale se ne effettuava la misurazione e di Lorentz dove l’esperimento di Michelson subiva alcune modifiche,in conseguenza del fatto che il risultato da esso ottenuto appariva piuttosto sconcertante; infatti la luce che percorre due tubi posti ad angolo retto fra i quali all’angolo di incontro si frappone uno specchio ,mentre altri due venivano messi all’estremità dei tubi, non presentava alcuna differenza  nel tempo impiegato dai raggi che si muovevano avanti e indietro sebbene le previsioni dei fisici tendessero per una maggiore velocità  e quindi per un minor tempo impiegato per i raggi che percorrevano il tubo posto in direzione del movimento della terra. Einstein ne fece derivare il concetto di simultaneità che decretava il successo rivoluzionario della sua fisica: due eventi infatti aventi luogo nello stesso posto risulterebbero simultanei, ma non altrettanto lo sarebbero in posti distanti. La misurazione dello spazio e del tempo richiedeva all’improvviso nuove procedure e nuovi significati, tuttavia un cambiamento così radicale non legittimava alcuna arbitrarietà; occorreva l’introduzione di una costante di base che venne rappresentata dalla “velocità della luce”. La scoperta dava vita a una nuova fisica e permetteva ad Einstein la revisione dell’esperimento di Michelson sulla base dei nuovi fatti; la velocità della luce era ora tenuta in stretta relazione con i valori di spazio e tempo. Ogni passaggio che il ragionamento di Einstein produsse non fu mai casuale, ma sempre dotato di una profonda validità logica con un suo significato funzionale, decisivo per passare alla fase successiva quindi mai fortuito ma fortemente voluto, parte di un’armoniosa struttura che inseriva ogni operazione in un quadro perfettamente coerente. Una frase dello stesso Einstein ne può sintetizzare il valore e il mistero della nascita: “Non sono sicuro che ci possa essere mai un modo di capire il miracolo del pensiero”.      

Bibliografia:

FRANK BARRON – CREATIVITA’ E LIBERTA’ DELLA PERSONA-Astrolabio Roma 1971

H.BROCH – AZIONE E CONOSCENZA Lerici 1965 Milano

PLATONE – TEETETO- Bari – Laterza 1984 – vol.II

P.WATZLAWICK – J. H.WEAKLAND- R.FISCH “CHANGE” SULLA FORMAZIONE E LA SOLUZIONE DEI PROBLEMI – Astrolabio – Roma 1974

MAX WERTHEIMER – IL PENSIERO PRODUTTIVO Giunti Barbera Firenze 1965