La memoria responsabile
Maria Antonietta Selvaggio
Lo stretto rapporto tra memoria e identità, sia pure in modi diversi, riguarda tutte le società e ciascun individuo. Già il filosofo John Locke aveva affermato che ogni persona è ciò che ricorda (1690), nel senso che è la memoria a costituire la continuità necessaria del soggetto.
La postmodernità, tuttavia, con il fluidificarsi e il frammentarsi dei costrutti identitari e con l’affermarsi della multiculturalità, ha finito per enfatizzare e rendere più problematico quel nesso, che emerge sempre più spesso come tensione tra il particolarismo dei ricordi e l’universalismo dei diritti e dei princìpi su cui si fondano le convivenze democratiche.
Ciò fa pensare a una sorta di rivalsa postmoderna della dimensione della memoria rispetto alla svalutazione che ne aveva fatto l’Illuminismo. Il programma illuministico di emancipazione della ragione, infatti, prescriveva di confinare la memoria nel dominio della tradizione e del retaggio culturale autoritario. Posizione, questa, sostanzialmente confermata sia da Marx che da Nietzsche: il primo, per aver identificato nella memoria una forma peculiare di “falsa coscienza”; il secondo, per averla stigmatizzata come pesante imposizione di valori repressivi. È la rilevanza della memorai sul piano cognitivo a essere ridotta se non del tutto negata, smentendo drasticamente tanto la concezione platonica che considerava l’anamnesi la via maestra della conoscenza quanto quella medievale che assegnava l’arte della memoria all’ambito della logica e della filosofia morale, facendone il cardine dell’educazione.
Dal punto di vista conoscitivo il metodo investigativo, nella duplice forma dello studio filologico dei testi e dell’osservazione empirica della natura, toglie alla memoria – e in particolare alle sue espressioni orali – la centralità avuta fino ad allora nella trasmissione delle vicende trascorse. Tra il XVI e il XVII secolo, si afferma il bisogno di comprendere gli eventi passati alla luce di un lavoro interpretativo in grado di contestualizzarli e storicizzarli. Cresce in questo modo il valore dei documenti e nel contempo si sviluppano gli archivi, così come si assiste a una significativa diffusione dei libri, che dopo l’invenzione della stampa cominciano a proporsi come strumenti sostitutivi della memoria.
Messa ai margini della conoscenza, tuttavia, la memoria acquista un peso sempre maggiore nella sfera politica. Allo Stato-nazione infatti importa assumere il ruolo di detentore ufficiale della memoria e di stabilire quali eventi del passato debbano essere oggetto di celebrazione. Ai fini di una solida unità nazionale, dalla fine del XVIII secolo il forte bisogno di simboli, monumenti e tradizioni – queste ultime quasi sempre appositamente inventate – dà luogo a quell’insieme di narrazioni chiamate da Le Goff la “fabbrica del passato”.
Il declino dello Stato-nazione, cifra distintiva del nostro tempo, comporta poi una “denazionalizzazione della memoria” ma non una sua depoliticizzazione. Anzi – fa notare la sociologa Barbara Misztal – la dimensione politica risulta accentuata dal “processo di espansione delle memorie dei vari gruppi, nel contesto di una crescente importanza delle politiche identitarie”.
Pertanto non andrebbe trascurato il caso di un Paese come l’Italia in cui si presenta ancora faticoso il cammino verso una “memoria collettiva” che favorisca una “storia condivisa”, ad esempio intorno ai due processi decisivi per l’identità nazionale: da una parte, il Risorgimento che ha fatto nascere la nazione; dall’altra, la Resistenza antifascista che ha generato la Repubblica. Sul piano narrativo si riscontrano molti limiti, dovuti a rappresentazioni scorrette e anche esasperate da impulsi in direzione di nuove divisioni e contrapposizioni. Va pertanto rinnovata la funzione educatrice della memoria e ciò deve farci sentire tutti responsabili. La memoria infatti può offrire punti di riferimento condivisi, favorendo un’autentica comunicazione tra adulti e giovani, alimentando il legame affettivo e la fiducia tra generazioni, purché questo avvenga insieme allo sviluppo di una capacità critica quale consapevolezza di sé come individuo e come collettività. L’appello allora è alla memoria responsabile, intesa come parte integrante della educazione consapevole.
Stralcio dell’intervento presentato alla Tavola Rotonda del 4 novembre 2023 Palazzo Venezia Napoli L’Educazione Consapevole
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